Presunzioni e documentazione extracontabile

  • Le presunzioni in generale

Le disposizioni normative in tema di accertamento delle imposte prevedono che la ricostruzione della base imponibile ai fini delle imposte sui redditi, dell’IRAP e dell’IVA possa fondarsi, oltre che su prove dirette della falsità o incompletezza dei dati contabilizzati e dichiarati dal contribuente e del mancato o irregolare rispetto di specifiche norme, anche su dati ed elementi di natura indiziaria, che, per evidenziarne la differenziazione rispetto alle prove dirette, possono essere definite “prove indirette – presuntive.”      

 
In generale, le presunzioni consistono in fatti o nozioni che, sebbene acquisiti o conosciuti, non forniscono alcuna diretta dimostrazione di situazioni o accadimenti, ma permettono comunque di risalire a queste attraverso un processo di logica consequenzialità; il fenomeno è regolato dall’art. 2727 c.c., a norma del quale “le presunzioni sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato”.
 
 Da tale disposizione si ricava la distinzione delle presunzioni legali cioè se individuate direttamente dalla legge e semplici, se ricavate ed apprezzate dal giudice; a norma dell’art. semplici 2729, comma 1, c.c., queste ultime possono essere ammesse solo se gravi, precise e concordanti.
 
Le presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza vengono definite semplicissime.
 
Le presunzioni legali, a loro volta, si distinguono, in assolute o relative; le prime, a differenza delle seconde, non ammettono la prova contraria. Le presunzioni legali assolute hanno quindi un rilievo sostanziale, in quanto integrano direttamente la fattispecie che, secondo la previsione normativa, produce un certo effetto giuridico; quelle legali relative e quelle semplici, invece, rilevano esclusivamente sul piano probatorio.

 

  • La documentazione extracontabile

 I fenomeni evasivi posti in essere, soprattutto, attraverso il sistematico occultamento di ricavi, compensi e corrispettivi, ovvero, più in generale, attraverso la falsa rappresentazione di determinate operazioni sia attive che passive, richiedono non di rado la predisposizione di sistemi di rilevazione e monitoraggio che assicurino ai responsabili la possibilità di conoscere la reale situazione aziendale o dell’attività di lavoro autonomo, anche a dispetto delle risultanze delle ufficiali scritture contabili e della dichiarazione presentata al fisco.
 
Per indicare questi sistemi di rilevazione contabile più o meno paralleli a quelli ufficiali, si parla genericamente di “documentazione extracontabile” che, in concreto, può presentarsi in forma estremamente semplice – quali appunti vari, agende, annotazioni, normali registri fiscali, corrispondenza, documenti commerciali vari, documentazione normalmente utilizzata per ragioni di controllo interno della gestione aziendale o della professione, documentazione attestante operazioni bancarie – oppure in forme più complesse, tali da configurare un vero e proprio impianto contabile strutturato ed articolato (cosiddetta “contabilità parallela o in nero”).         
 
In linea di principio, le risultanze rilevabili dalla documentazione extracontabile possono fornire una dimostrazione palese ed evidente della falsità di certe operazioni ovvero dell’occultamento di ricavi, compensi e corrispettivi e, quindi, possono di fatto essere utilizzabili ai fini della ricostruzione della reale base imponibile anche quali prove dirette; in tale caso nessun particolare adempimento si impone al di là della puntuale esposizione delle relative risultanze confrontate con quelle della contabilità ufficiale.
 
Negli altri casi in cui è necessaria un’elaborazione ed una successiva formulazione di conclusioni di carattere, appunto, indiretto–presuntivo, è necessario argomentare e motivare queste ultime con un grado di puntualità, coerenza e logica consequenzialità adeguato alle circostanze, soprattutto nei casi in cui si tratti di sconfessare in tutto o in parte le risultanze di un impianto contabile formalmente corretto, rispetto al quale i contenuti della documentazione extracontabile devono assumere, quanto meno, una valenza presuntiva grave, precisa e concordante.          
Con riferimento a tali specifiche situazioni è rilevabile nella giurisprudenza di legittimità una generale e consolidata tendenza a riconoscere alle risultanze della documentazione extracontabile, intesa nelle sue diverse e concrete manifestazioni, valore di presunzione idonea a legittimare la ricostruzione analitico–induttiva, ex art. 39, comma 1, lett. d.[1],  del reddito anche in presenza di contabilità regolare e sulla base di presunzioni semplici purché queste siano gravi, precise e concordanti ed a condizione che ricorrano talune circostanze, sostanzialmente identificabili:          

  1.  nella inequivocabile riferibilità soggettiva della documentazione extracontabile al contribuente nei cui riguardi la stessa è utilizzata;
  2. nella particolarità dei relativi contenuti, nel senso che questi devono essere indicativi di fatti e circostanze riferibili alla gestione dell’impresa o dell’arte o professione, essendo ovviamente da escludere la rilevanza di dati attinenti esclusivamente alla sfera personale del contribuente;          
  3. nella effettuazione, in sede istruttoria, di un adeguato riscontro fra le annotazioni o i dati rilevabili dai documenti extracontabili e le registrazioni contabili ufficiali, ove esistenti e formalmente corrette. 

 
A titolo esemplificativo, si segnala che la giurisprudenza di legittimità[2] ha riconosciuto valenza di indizio grave, preciso e concordante, in taluni casi anche quale unico elemento probatorio atto a ricostruire la base imponibile pur in presenza di contabilità generalmente corretta ed indipendentemente dallo specifico riscontro di irregolarità nella tenuta della contabilità e di altri inadempimenti agli obblighi di legge, tra l’altro[3]:   

  1. a “brogliacci”, “block notes”, “agende calendario”, “quaderni”, contenenti riferimenti ad operazioni di rilievo aziendale riferibili ad un certo contribuente, pur se contenenti anche annotazioni personali di questo;           
  2. alla somma degli ammontari giornalieri direttamente rilevati in una rubrica informale, al cui totale parziale è stato aggiunto – con riferimento al successivo periodo dell’anno “non coperto” dalle rilevazioni dell’agenda – un ulteriore addendo costituito dal prodotto della media giornaliera dei corrispettivi registrati sino alla data compresa nella rubrica, per il numero dei giorni lavorativi esclusi dalle annotazioni informali;
  3. a documentazione manoscritta i cui contenuti, pur non riportando i nominativi di fornitori ed acquirenti e non esplicitando il significato delle sigle utilizzate, sono stati puntualmente confrontati con le risultanze emerse dall’indagine condotta sulla contabilità ufficiale, tramite ricostruzione degli acquisti e delle vendite e delle giacenze di magazzino all’inizio e alla fine del periodo;
  4. al rinvenimento di copie di buoni di consegna recanti la descrizione della merce, il corrispettivo, la data di emissione del documento e l'indicazione dell'acquirente, rispetto al quale non è stata ritenuta sufficiente la spiegazione del contribuente volta a sostenere che, in realtà, si trattava non di "buoni di consegna", ma solo di "ordinativi";            
  5. ai dati contenuti in un floppy disk rinvenuto nell’abitazione di un ex collaboratore dell’impresa ispezionata;
  6. a documentazione bancaria rinvenuta in sede di accesso e non transitata per la contabilità, quali estratti conto comprovanti versamenti, assegni bancari ed effetti cambiari, matrici di assegni (specie se recanti annotazioni espressive di operazioni commerciali, tipo “acconto forniture”), libretti bancari riportanti movimentazioni;            
  7. più in generale, ad una “contabilità parallela” a quella ufficiale, rinvenuta durante il controllo, dalla quale emerga un “complesso di elementi dimostrativi della disponibilità di somme non contabilizzate”.    


[1] L’esistenza di attivita` non dichiarate o la inesistenza di passivita` dichiarate e` desumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purche´ queste siano gravi, precise e concordanti (Comma così sostituito dall’art. 24 della legge 88 del 7 luglio 2009)
[2] Cfr. Cass. 20 novembre 2009, n. 24509
[3] Sent. n. 23585 del 6 novembre 2009 della Corte Cassazione, Sez. tributaria:  “….questa Corte si è più volte pronunciata, ritenendo che, in tema di I.V.A., l'uso di elementi acquisiti nell'ambito di procedure riguardanti altri soggetti non viola disposizioni che regolano l'accertamento o il principio del contraddittorio, atteso che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 63, comma 1, dispone espressamente che, nell'ambito dei doveri di cooperazione con gli uffici, la Guardia di Finanza trasmette agli uffici stessi tutte le notizie acquisite, anche indirettamente, nell'esercizio dei poteri di polizia giudiziaria e che l'art. 54, comma 2, cit. D.P.R. dispone che gli Uffici, a loro volta, possono procedere alla rettifica sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti, tratte da atti e documenti in loro possesso, anche quando si tratti di verbali relativi ad ispezioni eseguite nei confronti di altri contribuenti (cfr., ex multis, Cass. civ. sent. nn. 9100 del 2001 e 19837 del 2005). Quanto poi all'attendibilità di documentazione extra contabile è sufficiente sempre richiamare la giurisprudenza di questa Corte che ha ritenuto la piena attendibilità di un brogliaccio (ma anche di agende, calendario, block-notes, matrici di assegni, estratti di conti correnti bancari) per l'accertamento induttivo dell'imponibile ai fini IVA (Cass., 15.5.92, n. 5786) ed ha affermato che il rinvenimento di una contabilità informale, tenuta su un brogliaccio, costituisce indizio grave, preciso e concordante della esistenza di imponibili non riportati sulla contabilità ufficiale e, perciò, l'Amministrazione Finanziaria può procedere ad accertamento induttivo (v., per tutte, Cass. civ. sent. n. 6949 del 2006).”


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