Cooperative

mutualità prevalente nelle cooperative produzione e lavoro

Le cooperative in generale

 
L’art. 45 della costituzione italiana riconosce “la funzione sociale della cooperazione a carattere di mutualità e senza fini di speculazione privata.”
 L'organizzazione in società cooperativa consente di concentrare in un unico assetto organizzativo le capacità di più soggetti che, viceversa, non potrebbero sostenere iI mercato. Tale forma societaria è stata utilizzata per iniziative riguardanti sia il settore prettamente economico (di produzione, consumo e distribuzione dei beni) sia quello più vicino al campo culturale e sociale.
 
Le principali tipologie di cooperative sono le seguenti:
 ·     cooperative di produzione e lavoro;
·     cooperative di consumo;
·     cooperative agricole;
·     cooperative di credito;
·     cooperative edilizie di abitazione;
·     cooperative di trasporto;
·     cooperative editoriali;
·     cooperative sociali.
Per ciò che attiene il caso in esame, le cooperative di produzione e lavoro sono volte a collocare iI lavoro o i prodotti dei soci cooperatori alle migliori condizioni e a procurare, tramite le attività sociali, vantaggi diretti e immediati all'economia dei singoli soci[1].
 
Tali cooperative operano soprattutto nei settori dei trasporti, dell'edilizia, delle pulizie e della ristorazione.
 
L'elemento peculiare delle cooperative di produzione e lavoro è rappresentato dalla particolare natura che connota lo scambio mutualistico tra i soci e la cooperativa, incentrato nell'attività di lavoro che i soci prestano nell'ambito della cooperativa stessa: il socio, di fatto, incorpora contemporaneamente sia le caratteristiche del lavoratore sia quelle dell'imprenditore.
 
Tale peculiarità aveva creato dei problemi in sede di qualificazione del rapporto sussistente tra socio e cooperativa, successivamente risolti dalla legge 3 aprile 2001, n. 142, la quale dispone che: "il socio lavoratore di cooperativa stabilisce con la propria adesione o successivamente all'instaurazione del rapporto associativo un ulteriore rapporto di lavoro, in forma subordinata o autonoma o in qualsiasi altra forma, ivi compresi i rapporti di collaborazione coordinata non occasionale, con cui contribuisce comunque al raggiungimento degli scopi sociali"[2]. Il socio, in quanto imprenditore, assume l'appalto di lavori che esegue con gli altri soci e sopporta, conseguentemente, oneri e rischi delle attività intraprese; come lavoratore, invece, esegue il lavoro e, in cambio, riceve una remunerazione per il lavoro prestato.
 
L'art. 3 della legge 142/2001, a tale proposito, sottolinea che "[...] le società cooperative sono tenute a corrispondere al socio lavoratore un trattamento economico complessivo proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato e comunque non inferiore ai minimi previsti, per prestazioni analoghe, dalla contrattazione collettiva nazionale del settore o della categoria affine, ovvero, per i rapporti di lavoro diversi da quello subordinato, in assenza di contratti o accordi collettivi specifici, al compensi medi in uso per prestazioni analoghe rese in forma di lavoro autonomo [...]. Trattamenti economici ulteriori possono essere deliberati dall'assemblea e possono essere erogati:
1.    a titolo di maggiorazione retributiva, secondo le modalità stabilite in accordi stipulati al sensi dell'articolo 2;
2.   in sede di approvazione del bilancio di esercizio, a titolo di ristorno, in misura non superiore al trenta per cento dei trattamenti retributivi complessivi di cui al comma 1 e alla lettera a), mediante integrazioni delle retribuzioni medesime, mediante aumento gratuito del capitale sociale sottoscritto e versato […][3].
I soci della cooperativa di produzione e lavoro da un lato ottengono una remunerazione analoga allo stipendio e, dall'altro, dividono l'eventuale profitto che, una volta dedotte le spese dell'attività e le remunerazioni ai soci, scaturisce dall'attività svolta dalla cooperativa.
 
In giurisprudenza[4] si è, per esempio, considerato illegittimo l'atto costitutivo di una società cooperativa che si definisce di produzione e lavoro in cui non si rinviene, tra le clausole, alcuna disposizione volta a fornire ai soci, attraverso l'esercizio in comune dell'attività imprenditoriale prescelta, un qualche servizio consistente nell'offerta di occasioni di lavoro o di altro vantaggio inerente alla produzione che si vuole avviare, difettando in tal modo del requisito essenziale dello scopo mutualistico.
 
In relazione ai requisiti dei soci partecipanti alle cooperative di produzione e lavoro, l'art. 23 del DLCPS 1577/1947, dispone che "i soci delle cooperative di lavoro devono essere lavoratori ed esercitare l'arte o il mestiere corrispondenti alla specialità delle cooperative di cui fanno parte o affini. Non possono essere soci di tali cooperative coloro che esercitano in proprio imprese identiche o affini a quella della cooperativa. È consentita l'ammissione a soci di elementi tecnici e amministrativi nel numero strettamente necessario al buon funzionamento dell'ente. Nelle cooperative agricole per affittanze collettive o per conduzione di terreno in concessione ai sensi del decreto legislativo luogotenenziale 19 ottobre 1944, n. 279, non possono essere ammesse come soci le persone che esercitano attività diversa dalla coltivazione della terra [...]".
 
II legislatore, all'art. 1 della legge 142/2001, ha altresì disposto che "i soci lavoratori di cooperativa:
 
1.    concorrono alla gestione dell'impresa partecipando alla formazione degli organi sociali e alla definizione della struttura di direzione e conduzione dell'impresa;
 
2.    partecipano all'elaborazione di programmi di sviluppo e alle decisioni concernenti le scelte strategiche, nonché alla realizzazione dei processi produttivi dell'azienda;
 
 
3.    contribuiscono alla formazione del capitale sociale e partecipano al rischio di impresa, ai risultati economici e alle decisioni sulla loro destinazione;
 
4.    mettono a disposizione le proprie capacità professionali anche in relazione al tipo e allo stato dell'attività svolta, nonché alla quantità delle prestazioni di lavoro disponibili per la cooperativa stessa".
 
Le cooperative a mutualità prevalente
 
Le società cooperative in genere, si differenziano, sulla base del­lo scopo perseguito, dalle altre società disciplinate dal codice civile. Mentre queste ultime, infatti, vengono comunemente de­finite come società lucrative, in quanto hanno come scopo quello del profitto e della conseguente divisione degli utili prodotti, le cooperative perseguono uno scopo “mutualistico” o quantomeno prevalentemente mutualistico. In tal senso si esprime l’art. 45 della Costituzione della Repubblica che individua la cooperazione a carattere di mutualità.
 
Il fine mutualistico, per quanto enunciato, non è mai stato oggetto però di una definizione in positivo, ma lo si è sempre individuato dall’insieme della legislazione di riferimento in materia di cooperazione.
 
Come ormai noto, la riforma del diritto societario operata dal D.Lgs n. 6/2003 - pur continuando a non fornire una definizione in positivo del concetto di mutualità - ha introdotto alcune norme volte a differenziare le società cooperative in ragione della “quantità” di mutualità perseguita.
 
Ai sensi dell’art. 2512 c.c. sono infatti definite a “mutualità prevalente” le cooperative che in ragione del tipo di scambio mutualistico:
1.    svolgono la loro attività prevalentemente in favore dei soci, consumatori o utenti di beni o servizi; (cooperative di utenza)
2.    si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, delle prestazioni lavorative dei soci; (cooperative di lavoro).
3.    si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, degli apporti di beni o servizi da parte dei soci. (Cooperative di conferimento).
I successivi artt. 2513 e 2514 c.c. forniscono poi l’indicazione in ordine alla concreta applicazione di detti criteri.
 
Per esclusione dunque le cooperative che non svolgono la loro attività prevalentemente con i soci saranno qualificabili come cooperative a mutualità non prevalente, ma saranno pur sempre cooperative che perseguono uno scopo mutualistico.
 
La distinzione in oggetto ha quindi sostanzialmente mantenuto una impostazione unitaria delle regole della mutualità, confermando che le cooperative in genere perseguono uno scopo mutualistico, ma prevedendo nel contempo che i benefici di natura fiscale siano riservati esclusivamente alle cooperative a mutualità prevalente. Che la qualifica di società cooperativa sia unica, lo si rinviene innanzitutto nel novellato art. 2511 c.c. laddove viene indicato che le cooperative (tutte) sono società a capitale variabile, con scopo mutualistico. In secondo luogo, la riforma ha lasciato inalterati i primi due commi dell’art. 2515 c.c., laddove è previsto che la denominazione sociale, in qualunque modo formata, deve contenere l’indicazione di società cooperativa e che l’indicazione di cooperativa non può essere usata da società che non hanno scopo mutualistico.
 
Sempre l’art. 2512 ha poi indicato che le società cooperative a mutualità prevalente si iscrivono in un apposito albo, presso il quale depositano annualmente i propri bilanci.
 
I requisiti per la prevalenza sono definiti dall’art. 2514 c.c. che indica come le cooperative a mutualità prevalente debbano prevedere nei propri statuti:
1.    il divieto di distribuire i dividendi in misura superiore all’interesse massimo dei buoni postali fruttiferi aumentato di due punti e mezzo rispetto al capitale effettivamente versato.
2.    il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori in misura superiore a due punti rispetto al limite massimo previsto per i dividendi di cui al punto precedente;
3.    il divieto di distribuzione delle riserve accantonate fra i soci cooperatori;
4.    in caso di scioglimento della società cooperativa la previsione dell’obbligo di devoluzione dell’intero patrimonio sociale - dedotto soltanto il capitale sociale e i dividendi eventualmente maturati – ai fondi mutualistici per la promozione e lo sviluppo della cooperazione.
Dunque il recepimento negli Statuti delle quattro clausole anzidette è la “conditio sine qua non” affinché la cooperativa possa essere qualificata quale cooperativa a mutualità prevalente.
 
Si parla qui di prevalenza soggettiva in quanto l’introduzione di queste clausole è mera facoltà di ciascuna cooperativa.
 
Facoltà che presenta peraltro carattere di reversibilità, potendo essere esercitata durante la vita societaria, in un senso o nell’altro, con la conseguente perdita o acquisizione della qualifica di cooperativa a mutualità prevalente e la produzione dei relativi effetti.
 
Al fine del mantenimento dello status di prevalenza la legge ha comunque imposto alle cooperative il rispetto costante di ulteriori parametri.
 
L’art. 2513 c.c. pone infatti in capo ad amministratori e sindaci l’onere di documentare la condizione di prevalenza della cooperativa, nella nota integrativa al bilancio, evidenziando contabilmente i seguenti parametri:
1.      i ricavi dalle vendite dei beni e dalle prestazioni di servizi verso i soci sono superiori al cinquanta per cento del totale dei ricavi delle vendite e delle prestazioni ai sensi dell’articolo 2425 primo comma, punto A1 (ipotesi riferita alle cooperative di utenza in genere);
2.      il costo del lavoro dei soci è superiore al cinquanta per cento del totale del costo del lavoro di cui all’articolo 2425 primo comma, punto B9 computate le altre forme di lavoro inerenti lo scopo mutualistico; (ipotesi riferita alle cooperative di lavoro).
Inizialmente la norma richiamando solamente il punto B) 9, che si riferisce ai costi “per il personale” aveva ingenerato qualche problema per quanto riguardava il costo dei lavoratori, soci e non, con i quali la cooperativa aveva in essere un rapporto di lavoro autonomo, posto che tali costi potevano risultare evidenziati in altre voci quali B/7 o B/14. Ipotesi ora chiarita ad opera del D.Lgs. n. 310/2004 che ha aggiunto alla disposizione originaria l’indicazione di computo per tutte le forme di lavoro inerenti lo scopo mutualistico.
 3.      il costo della produzione per servizi ricevuti dai soci ovvero per beni conferiti dai soci è rispettivamente superiore al cinquanta per cento del totale dei costi dei servizi di cui all’articolo 2425 primo comma, punto B7, ovvero al costo delle merci o materie prime acquistate o conferite, di cui all’articolo 2425 primo comma, punto B6.(ipotesi riferita alle cooperative di conferimento).
Nell’ipotesi in cui la cooperativa realizzi contestualmente più tipi di scambio mutualistico – sia cioè una cooperativa ad oggetto misto – la condizione di prevalenza deve essere documentata facendo riferimento alla media ponderata delle percentuali risultanti. Così ad esempio dei lavoratori librai che, al fine di garantirsi occasioni di lavoro dalla vendita dei libri, costituiscano una cooperativa che preveda, oltre alla categoria dei soci lavoratori, anche quella di coloro che sono interessati all’acquisto dei libri a migliori condizioni di mercato. In questo caso, occorrerà in primo luogo procedere ad individuare la percentuale del costo del lavoro dei soci rispetto a quella di eventuali lavoratori dipendenti, non soci. In secondo luogo si procederà alla verifica della percentuale dei ricavi delle vendite verso i soci rispetto a quelle effettuate verso utenti non soci.
 
I due risultati così ottenuti, tenuto conto del peso di ciascuna attività sull’economia complessiva della cooperativa, verranno presi a base ai fini della comparazione. Si potrebbero pertanto verificare casi nei quali una delle due attività singolarmente considerata non rientri nei parametri indicati ai fini del riconoscimento della prevalenza, ma poiché l’altra attività vi rientra pienamente, la media ponderata fra le due consentirebbe alla cooperativa di mantenere lo status di prevalenza.
 
Per le cooperative agricole, infine, l’art. 2513 prevede che la condizione di prevalenza sussiste quando la quantità o il valore dei prodotti conferiti dai soci è superiore al cinquanta per cento della quantità o del valore totale dei prodotti.
 
L’art. 11-undecies, delle disposizioni attuative, aveva previsto la possibilità di deroga ai criteri fissati dall’art. 2513, attraverso l’emanazione di appositi Decreti del Ministro delle attività produttive, di concerto con quello dell’economia, in relazione:
 
a) alla struttura dell’impresa e del mercato in cui le cooperative operano;
 
a)  a specifiche disposizioni normative cui le cooperative devono uniformarsi;
 
b)  al fatto che la realizzazione dei beni inerenti lo scambio mutualistico possa richiedere il decorso di un periodo di tempo superiore all’anno di esercizio.
 
In attuazione di detta disposizione, con Decreto sottoscritto dal Ministro delle attività produttive in data 30 dicembre 2005, sono stati disposti una serie di regimi derogatori che sia per le cooperative di lavoro che per quelle miste, ai fini del calcolo della prevalenza, non deve essere computato il costo del lavoro riferito ai lavoratori non aventi la qualifica di socio che sono stati assunti in forza di obbligo di legge o di contratto collettivo nazionale di lavoro o di convenzione con la pubblica amministrazione.
Queste ipotesi sono dunque molteplici e possono riguardare ad esempio le assunzioni c.d. obbligatorie dei lavoratori affetti da patologie invalidanti, oppure i lavoratori assunti a seguito di cambio d’appalto nei settori in cui la contrattazione collettiva regolamenta tali ipotesi prevedendo l’obbligo in capo all’azienda subentrante di assunzione dei lavoratori operanti presso l’appalto medesimo (si noti peraltro che la norma opera il riferimento al solo livello nazionale della contrattazione collettiva escludendo gli altri livelli della contrattazione medesima).
In secondo luogo la disposizione prevede che non venga conteggiato il costo del lavoro dei lavoratori che per espressa disposizione di legge non possano acquisire la qualità di socio.
 
Infine la disposizione prevede che non si computi il costo relativo ai lavoratori non soci di nazionalità straniera impiegati dalla cooperativa nello svolgimento di attività al di fuori dei confini della Repubblica italiana.

[1] Cass. 22 agosto 1966, n. 2269.
[2] Art. 1, comma 3, legge 3 aprile 2001, n. 142, che prosegue sottolineando che "dall'instaurazione dei predetti rapporti associativi e di lavoro in qualsiasi forma derivano i relativi effetti di natura fiscale e previdenziale e tutti gli altri effetti giuridici rispettivamente previsti dalla presente legge, nonché, in quanto compatibili con la posizione del socio lavoratore, da altre leggi o da qualsiasi altra fonte"
[3] L'art. 3, comma 2-bis, della legge 142/2001 prevede una disposizione particolare per le cooperative della piccola pesca, specificando che "in deroga alle disposizioni di cui al comma 1, le cooperative della piccola pesca di cui alla legge 13 marzo 1958, n. 250, possono corrispondere al propri soci lavoratori un compenso proporzionato all'entità del pescato, secondo criteri e parametri stabiliti dal regolamento interno previsto dall'articolo 6"
[4] Tribunale di Cassino, sentenza del 9 aprile 1987


Aspetti fiscali

Per tutte le cooperative a mutualità prevalente e loro consorzi, iscritte all’apposito albo, sono previste una serie di disposizioni generali che stabiliscono, da un lato, un tetto minimo di utili da assoggettare a tassazione e, dall’altro, agevolazioni consistenti: nel riconoscimento della detassazione di una parte degli utili se destinati a specifici fini mutualistici; nella eliminazione del c.d. “effetto imposte su imposte” e nella limitazione dell’efficacia delle risultanze degli studi di settore.
 
1.     A decorrere dal 2012, le cooperative a mutualità prevalente devono in ogni caso assoggettare a IRES[1]:
 
a.   una quota minima di utili netti annuali, in percentuale diversa a seconda del settore di appartenenza della cooperativa, nel caso specifico delle cooperative di produzione e lavoro tale percentuale è fissata nel 40%;
 
b.   una quota pari al 10% degli utili accantonati a riserva minima obbligatoria; tenuto conto che la riserva obbligatoria è pari al 30%, si tratta di un ulteriore 3% dei predetti utili.
La restante quota di utili netti può beneficiare delle agevolazioni in base alle quali essi non concorrono a formare il reddito imponibile se destinati a:
 
a.   riserve indivisibili[2];
 
b.   fondi mutualistici nella misura del 3% degli utili netti[3];
 
c.   aumento gratuito del capitale sociale, nei limiti consentiti[4].
 
2.     Gli importi assegnati ai soci per l’attribuzione del vantaggio mutualistico (c.d. ristorni[5]) sono integralmente deducibili, ai fini IRES e lRAP, a condizione che tali somme siano erogate entro il limite dell’avanzo documentato di gestione mutualistica. La parte di utile eventualmente attribuito ai soci, oltre il suddetto limite, si qualifica come distribuzione di dividendi ed è, quindi, soggetta ai limiti di distribuzione previsti dalla legge[6] e non risulta deducibile per la cooperativa (salvo il caso in cui l’utile è attribuito ad aumento gratuito del capitale sociale).
 
La cooperativa può operare la deduzione, nell’esercizio in riferimento al quale sono maturati gli elementi di reddito assunti per la commisurazione degli stessi, sia imputando i ristorni direttamente a conto economico (sotto forma di minori ricavi, maggiori costi ecc., soluzione preferibile), sia operando una variazione in diminuzione in sede di dichiarazione dei redditi[7].
 
In ogni caso, la deduzione del costo opera in via prioritaria rispetto all’applicazione della percentuale di tassazione dell’utile di cui al paragrafo precedente.
 
3.     Inoltre, le imposte sui redditi riferibili alle variazioni fiscali in aumento all’utile civilistico non concorrono a formare il reddito[8] imponibile, a condizione che la conseguente variazione in diminuzione del reddito tassabile determini un utile o un maggior utile da destinare alle riserve indivisibili. La disposizione, pertanto, non si applica nell’ipotesi in cui l’utile sia distribuito ai soci o destinato a riserve libere. Inoltre, la variazione in diminuzione deve essere proporzionale alla quota di utile non tassata per effetto dell’applicazione delle agevolazioni[9].
4.     Infine, le cooperative di produzione e lavoro che rispettano le condizioni di seguito indicate, oltre alle disposizioni generali illustrate nei paragrafi precedenti, possono fruire dell’esenzione da IRES per intero o al 50%, a seconda dei casi della quota di imponibile derivante dall’indeducibilità dell’lRAP (art. 11 DPR 601/73).
Nello specifico:
a.  se l’ammontare delle retribuzioni effettivamente corrisposte ai soci che prestano la loro opera con carattere di continuità non è inferiore al 50% dell’ammontare complessivo di tutti gli altri costi, tranne quelli relativi alle materie prime e sussidiarie, la quota di reddito imponibile derivante dall’indeducibilità IRAP è totalmente esente;
b.  se l’ammontare delle retribuzioni è Inferiore al 50%, ma non al 25%, dell’ammontare complessivo degli altri costi, la quota di reddito esente è ridotta al 50%.
 
In pratica, le cooperative di produzione e lavoro devono assoggettare, in ogni caso, a tassazione almeno una quota pari al 43% dell’utile netto annuale, potendo escludere dal reddito imponibile la quota di utili residua (pari al 57% dell’utile netto) se destinata a riserve indivisibili, fondi mutualistici o a rivalutazione gratuita di quote. In aggiunta, se si verifica una delle suddette condizioni, possono effettuare una variazione in diminuzione del reddito imponibile in sede di dichiarazione dei redditi, pari al 100% o al 50% dell’lRAP rimasta indeducibile dall’IRES.
 
Fermo restando il rispetto del limite dell’avanzo di gestione mutualistica, per le cooperative di produzione e lavoro, è stabilito che i trattamenti economici erogati a titolo di ristorno non possono superare il 30% dei trattamenti retributivi complessivi erogati ai soci, costituiti dai trattamenti economici contrattuali cui si aggiungono gli ulteriori trattamenti erogati a titolo di maggiorazione retributiva (art. 3 c. 1 e c. 2 lett. a) L 142/2001). Questo limite specifico non può mai essere superato anche nel caso in cui l’avanzo documentato di gestione mutualistica sia di ammontare superiore; in pratica, occorre sempre fare riferimento al minore dei due limiti.

[1] Art. 2 c. 36-bis e 36-ter DL 138/2011 conv. In L. 148/2011
[2] Art. 12 L. 904/77 art. 3 c. 1 L. 28/99
[3] Art. 11 L. 59/92
[4] Art. 7 L. 59/92
[5] Circ. AE 18 giugno 2002 n. 53/5 e Circ. AE 9 aprile 2008 n. 35/5
[6] artt. 2433 e 2478 bis c. 4 e 5 c.c.
[7] art. 12 DPR 601/73
[8] art. 21 c. 10 L. 449/97
[9] Circ. AE 16 marzo 2005 n. lO/E


Corte di Cassazione n. 3653 del 24 febbraio 2015

Corte di Cassazione n. 3653 del 24 febbraio 2015[1] che, nell’esprimersi in merito al ricorso dell’Agenzia delle Entrate circa il disconoscimento dei principi di mutualità - e relative agevolazioni fiscali - di una cooperativa di produzione e lavoro, conseguente ad una verifica effettuata dalla Guardia di Finanza di Roma, ha disposto che:
- le cooperative di produzione e lavoro sono fiscalmente esentate non in ragione della loro natura giuridica soggettiva, ma in funzione dell’attività svolta in concreto e in presenza di determinate tipicità richieste dalle norme;
- su entrambi tali requisiti, e con riferimento al singolo periodo d’imposta, l’Amministrazione Finanziaria ha un potere-dovere di vigilanza e controllo (Cass. N. 8140 del 2011).
- perché una società cooperativa possa fruire delle agevolazioni fiscali previste dal DPR n. 601 del 1973 non è, quindi, sufficiente, la ricorrenza dei requisiti mutualistici con riguardo all’organizzazione e agli scopi risultanti dallo statuto, dovendo essi “risultare anche con riferimento all’attività svolta in concreto (Cass. N. 23002 del 2009),
si è provveduto alla verifica dell’effettiva applicazione dei principi fondamentali richiesti dalla legge per il perseguimento degli scopi mutualistici, propri delle società cooperative ovvero:
- attività dei soci. Sul punto, in tesi generale, “i soci delle cooperative di lavoro devono essere lavoratori ed esercitare l’arte o il mestiere corrispondenti alla specialità delle cooperative di cui fanno parte o affini” (art. 23, comma 1, D.lgs Capo provv. Stato n. 1577 del 1947; v. art. 2 della legge n. 127 del 1971) e che “i soci lavoratori di cooperativa: a) concorrono alla gestione dell’impresa partecipando alla formazione degli organi sociali e alla definizione della struttura di direzione e conduzione dell’impresa; b) partecipano alla elaborazione di programmi di sviluppo e alle decisioni concernenti concernenti le scelte strategiche, nonché alla realizzazione dei processi produttivi dell’azienda; c) contribuiscono alla formazione del capitale sociale e partecipano al rischio d’impresa, ai risultati economici ed alle decisioni sulla loro destinazione; d) mettono a disposizione le proprie capacità professionali anche in relazione al tipo e allo stato dell’attività svolta, nonché alla quantità delle prestazioni di lavoro disponibili per la cooperativa stessa” (art. 1, comma 2, legge n. 142 del 2001);
- turn over tra i soci;
- partecipazioni in società collegate e/o controllate;
- entità del patrimonio immobiliare;
- articolazione aziendale e filiali operanti sull’intero territorio nazionale;
- articolazione amministrativa;
- eterogeneità dell’oggetto sociale;
- investimenti pubblicitari;
- ricerca del personale.

[1] Che richiama, tra l’altro, la Corte di Giustizia Europea la quale ritiene che le cooperative che realmente perseguono una finalità mutualistica sono solo quelle che operano “nell’interesse economico dei loro soci e intrattengano con questi ultimi una relazione non puramente commerciale, bensì personale e particolare, in cui essi siano attivamente partecipi e abbiano diritto ad un’equa ripartizione dei risultati economici”. Di contro, le compagini cooperative che non siano genuinamente tali non possono essere distinguibili sul piano fiscale dalle società con scopo di lucro.


CASO PRATICO

In base a svariati elementi indiziari la società ALFA ha svolto un’attività d’impresa con finalità di lucro, proprie di società commerciali, utilizzando artatamente la veste della società cooperativa attraverso la quale devono perseguirsi esclusivamente finalità “mutualistiche” e non lucrative.

Con l’utilizzo “improprio” della forma giuridica della società cooperativa, vietato dal secondo comma dell’art. 2515, che prevede che “L’indicazione di cooperativa non può essere usata da società che non hanno scopo mutualistico.”, è stato conseguito prima un utile e poi un reddito d’esercizio, che è stato sottratto alla ordinaria tassazione prevista ai fini delle imposte dirette, sulla base delle agevolazioni fiscali previste dall’art. 11 del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 601, dall’art. 21 c. 10 L. 449/97 e dell’articolo 12 della legge n. 904/1977.

L’art. 14 dello stesso decreto n. 601/1973 dispone, tra l’altro, al comma 1, che: “Le agevolazioni previste in questo titolo si applicano alle società cooperative, e loro consorzi. che siano disciplinate dai principi della mutualità previsti dalle leggi dello Stato e siano iscritti nei registri prefettizi o nello schedario generale della cooperazione”.

Il successivo comma 2 dello stesso articolo, con rinvio anche all’art. 26 del D.Lgs. 14.12.1947, n. 1577, prevede che i requisiti della mutualità si ritengono sussistenti quando negli statuti delle cooperative siano contenute le seguenti clausole:

1.     divieto di distribuzione dei dividendi superiore alla ragione dell’interesse legale ragguagliato al capitale effettivamente versato; 

2.     divieto di distribuzione delle riserve tra i soci durante la vita sociale; 

3.     devoluzione. in caso di scioglimento della società, dell’intero patrimonio sociale dedotto soltanto il capitale versato e i dividendi eventualmente maturati «a scopi di pubblica utilità conformi allo spirito mutualistico.

Pur in presenza degli adempimenti previsti dal comma 2 del citato articolo 14, si ritiene, salvo diversa determinazione dell’Ufficio competente all’accertamento, che, nel caso di specie non possano ritenersi esenti i redditi conseguiti dalla cooperativa ALFA, in quanto,  sono stati disattesi i principi fondamentali della mutualità previsti dalle leggi dello Stato che fanno ritenere, come più volte ribadito, illegittimo il ricorso all’esercizio di un’attività d’impresa con finalità di lucro sotto forma di società cooperativa. 

In sintesi, che la società: 

1.     ha previsto un “oggetto sociale” che comprende una vasta gamma di attività commerciali che può esercitare e che in gran parte esercita, contrariamente al dettato dell’art. 23 del D.Lgs. C.P.S. 1577/1947, che vieta la costituzione di cooperative di produzione e lavoro il cui oggetto sociale comprenda una pluralità di attività eterogenee, in quanto ciò contrasta con il requisito della specialità ed omogeneità dei soci;

2.     risulta avere tra i propri soci persone che, nello stesso arco temporale, rivestono la qualità di socio anche in altra cooperativa, in BETA e GAMMA;

3.     ha fatto ricorso a personale dipendente non socio, in misura rilevante ed a prestazioni di servizi rese da rilevante numero di società cooperative e non, mediante subappalto di lavori, non garantendo a tutti i suoi soci una continuità lavorativa e non assicurando ad alcuni di essi alcun lavoro contrariamente alle previsioni di cui all‘art. 3 dello statuto;

4.     benché per le società cooperative sia prevista una finalità mutualistica e non di lucro ha conseguito considerevoli “utili d’esercizio”, ed ancora più rilevanti sono risultati i redditi d‘esercizio, conseguiti a seguito delle variazioni in aumento e diminuzioni (senza naturalmente tener conto della variazione in diminuzione per effetto della mutualità prevalente);

5.     ha una struttura radicata su tutto il territorio nazionale: con sei sedi operative, quattro uffici amministrativi, un impianto ed un’officina;

6.     possiede molteplici partecipazioni (alcune totalitarie) in società di capitali, di cui una con sede all’estero;

7.     dispone di un consistente patrimonio immobiliare, anche attraverso società partecipate (immateriali, materiali e finanziarie);

8.     ha sostenuto rilevanti spese per l’attività di lavoro interinale;

9.     a partire dall’anno 2007 ha avuto, un calo continuo e repentino del rapporto tra i dipendenti soci e dipendenti non soci, una perdita progressiva dei soci, una bassa permanenza temporale dei soci, un elevato turnover dei soci, in molti casi non ha ricevuto il versamento delle quote sociali, ha effettuato massicci “arruolamenti” di soci in brevissimi periodi, ha attribuito ristorni in modo del tutto insignificativi, in alcuni anni non vi ha nemmeno provveduto;

10.  ha un’alta presenza di soci amministrativi/dirigenti pari al 32% del totale dei soci, contrariamente a quanto previsto dal citato art. 23 del D.Lgs. C.P.S. 1577/1947;

11.  ha uno sproporzionato divario nei compensi fra i soci fino anche al 1.990,48% a favore degli appartenenti al consiglio di amministrazione;

12.  si è aggiudicata appalti in località geografiche dove non erano presenti soci o dove non sono stati ammessi soci, non conferendo un vantaggio diretto/indiretto per il socio lavoratore in altre zone geografiche;

13.  ha avuto una bassissima presenza dei soci alle assemblee annuali e straordinarie.

Inoltre, la Corte di Cassazione con sentenza n. 3653 del 24 febbraio 2015, ha ribadito la legittimità del disconoscimento, da parte dell’Amministrazione Finanziaria, delle agevolazioni previste per il sistema cooperativo (D.P.R. n. 601 del 1973, artt. 11 e 14; D.C.P.S. n. 1577 del 1947, artt. 16, 23 e 26; L. n. 59 del 1992, art. 11) qualora dietro lo schema cooperativistico si celi una normale attività lucrativa.

Con tale sentenza, la Corte di cassazione è tornata a pronunciarsi in merito alla possibilità, da parte dell’Amministrazione finanziaria, di disconoscere l’applicazione del regime agevolativo dettato per le società cooperative[1], in presenza di dati concreti idonei a dimostrare che la veste mutualistica assunta dalla società consiste in una mera copertura di una normale attività imprenditoriale.

 In proposito, la Suprema Corte ricorda, in primo luogo, che il combinato disposto degli articoli 11 e 14 del DPR n. 601/1973 e dell’articolo 12 della legge n. 904/1977, dispone che le cooperative di produzione e lavoro sono fiscalmente esentate non in ragione della loro natura giuridica soggettiva, ma in funzione dell’attività svolta in concreto e in presenza di determinate tipicità richieste dalle norme.

In sostanza, come ricordato in altre occasioni dalla medesima Corte, affinché una cooperativa possa fruire del regime agevolativo, non è sufficiente che ricorrano i requisiti mutualistici con riguardo all’organizzazione e agli scopi risultanti dallo statuto, dovendo essi risultare anche con riferimento all’attività in concreto svolta[2].

Tali consolidati principi escludono che la mera regolamentazione statutaria e la conseguita registrazione prefettizia ostino all’azione accertativa svolta dal Fisco. Spetta, infatti, all’Amministrazione finanziaria un potere-dovere di vigilanza e controllo in merito alla sussistenza in concreto di detti requisiti, con riferimento ai singoli anni d’imposta[3].

Tale accertamento, inoltre, secondo la Suprema Corte, va effettuato anche attraverso i seguenti vincolanti criteri interpretativi dettati dalla Corte di giustizia:

1.    le esenzioni fiscali concesse alle società cooperative di produzione e lavoro, in forza di una normativa nazionale del tipo di quella di cui all’articolo 11 del Dpr n. 601/1973, costituiscono aiuto di Stato ai sensi dell’articolo 87, n. 1, del trattato Ce, nel caso in cui tutte le condizioni di applicazione di tale disposizione siano soddisfatte;

2.  spetta al giudice nazionale valutare il carattere selettivo di dette agevolazioni, nonché la loro eventuale giustificazione alla luce del sistema tributario interno, stabilendo se le società cooperative si trovino o meno in una situazione analoga a quella di altri operatori costituiti in forma di società con scopo di lucro e, in tal caso, se l’agevolazione riconosciuta a detti soggetti sia inerente i principi fondamentali che regolano l’ordinamento nazionale e conforme ai principi di coerenza e proporzionalità.

Secondo la Corte del Lussemburgo, inoltre, le cooperative che realmente perseguono una finalità mutualistica sono solo quelle che operano “nell’interesse economico dei loro soci o intrattengono con questi ultimi una relazione non puramente commerciale, bensì personale particolare, in cui essi siano attivamente partecipi e abbiano diritto ad un’equa ripartizione dei risultati economici” (Corte di giustizia Ue, 8 settembre 2011, procedimenti riuniti da C 78/08 a C 80/08).

Richiamati tali principi, con riferimento alla fattispecie sub iudice, la Suprema Corte ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, ritenendo che il giudice a quo non avesse adeguatamente valutato i dati fattuali sottoposti alla sua attenzione, fra cui: l’oggetto sociale eterogeneo, le plurime partecipazioni dei soci in altre cooperative, il rilevante utilizzo di personale dipendente non socio e di prestazioni rese da cooperative terze, il ricorso al subappalto, la notevole entità degli utili di esercizio, il possesso di partecipazioni in imprese controllate o collegate anche estere, l’effettuazione di cospicui investimenti immobiliari e le notevoli spese pubblicitarie sostenute.

Secondo la Cassazione, infatti, la Commissione Tributaria Regionale nel pronunciare la sentenza impugnata, aveva basato la propria analisi unicamente sulla verifica della sussistenza dei caratteri astrattamente tipici della cooperativa, senza tuttavia verificare se la cooperativa contribuente si trovava effettivamente a operare in situazioni di fatto e di diritto diverse da quelle proprie delle società commerciali e, quindi, a operare nell’interesse economico dei suoi soci, intrattenendo con questi ultimi una relazione non puramente commerciale, bensì personale e particolare in cui essi fossero effettivamente partecipi e avessero diritto a un’equa ripartizione dei risultati economici.

[1] articoli 11 e 14 del Dpr n. 601/1973

[2] Cassazione 30 ottobre 2009, n. 23002

[3] Cassazione 11 aprile 2011, n. 8140, e 20 giugno 2005, n. 13280



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