Cassa con saldo negativo!

Da un punto di vista contabile/fiscale il conto “cassa” deve sempre presentare saldo DARE e deve corrispondere all’effettiva consistenza fisica, costituita da denaro contante, assegni e valori bollati. Per l’intero anno, quindi,  la cassa deve sempre e comunque presentare valori di saldo positivi o pari a zero. Certamente la presenza di una cassa “negativa”, piuttosto che un andamento della stessa molto altalenante nel corso dell’anno, rappresenta un elemento di pericolosità fiscale significativo di una contabilità “inattendibile”, ovvero tenuta in modo non corretto.
 
In merito, secondo la recente giurisprudenza[1] “si deve ritenere che una chiusura di cassa con segno negativo, oltre a rappresentare un’anomalia contabile, denota sostanzialmente l’omessa contabilizzazione di un’attività (almeno) equivalente al disavanzo” affermando anche che un saldo di cassa negativo ha le caratteristiche di un indizio grave, preciso e concordante che solleva l’amministrazione dall’onere della prova che grava sul contribuente. Infatti, sotto il profilo della ripartizione dell’onere probatorio tra contribuente e Fisco, non può essere trascurata la pronuncia della Suprema corte (Cassazione, 6166/2001) in cui si è affermato che “posto che un "conto cassa" rientra sicuramente tra le scritture contabili, ancorché non obbligatorie, astrattamente idonee, ad essere utilizzate dall’ufficio ai fini dell’accertamento, quale "documento relativo all’impresa" - i giudici d’appello non hanno assolutamente spiegato, in modo specifico, in cosa consisterebbe "l’erronea imputazione", operata dal contribuente nel predetto conto e ritenuta idonea a superare la contraria valenza presuntiva (di corrispettivi non contabilizzati) attribuita all’ufficio ai saldi negativi del conto medesimo”.
 
La giurisprudenza maggioritaria (cfr Cassazione, 3580/2009) ha confermato la legittimità dell’«utilizzo» del saldo negativo di cassa da parte dell’Amministrazione finanziaria sia nel caso in cui proceda mediante il cosiddetto accertamento “analitico – induttivo” ex articolo 39, comma 1, del Dpr 600/1973, sia nell’ipotesi in cui accerti ex articolo 39, comma 2, dello stesso decreto.
 
Nel primo caso, senza disattendere l’impianto contabile, l‘Erario procede con il metodo analitico anche se sulla base di presunzioni rispondenti ai requisiti di gravità, precisione e concordanza. Nella seconda ipotesi, dopo aver dimostrato l’inattendibilità delle scritture contabili, l’Amministrazione finanziaria si trova legittimata a procedere anche sulla scorta di presunzioni non qualificate. La Circolare 1/2008 del Comando Generale della G. di F. – Volume II – pag. 15 e 16 -, in tema di applicabilità delle presunzioni riporta: “””…. Con riferimento alla concreta rilevanza probatoria che devono assumere le presunzioni semplici utilizzabili nel metodo analitico-induttivo, si evidenzia, a titolo di orientamento, che la giurisprudenza di legittimità (Corte di Cassazione Civile Sezioni unite 17/7/2008, n. 19596) ha in diverse occasioni (con argomentazioni a maggior ragione riferibili anche alle presunzioni semplicissime) affermato, tra l’altro, che:

  • non si richiede che i fatti su cui la presunzione si fonda siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignorato come l’unica conseguenza possibile secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva, essendo sufficiente invece che, alla luce delle regole di esperienza, il fatto ignoto sia desumibile alla stregua di un canone di probabilità con riferimento a una connessione di accadimenti ragionevolmente verosimile in base ad un criterio di normalità;
  • la prova per presunzione non esige che il fatto ignoto sia desumibile da una pluralità di fatti noti, cioè da una pluralità di fonti certe che parimenti convergano  verso un identico risultato logico deduttivo; può risultare sufficiente anche un unico fatto noto, quando tutti gli aspetti di esso, in assenza di circostanze di valenza contraria, siano chiaramente ed univocamente concordanti sul verificarsi del fatto ignoto……”””.

 
In altre parole, il saldo negativo di cassa, che l’imprenditore non è in grado di giustificare, esprime un’anomalia particolarmente grave in quanto essa rappresenta, nella logica economico - ragionieristica, un vero e proprio risultato contro natura, che può trovare ingresso nel circuito contabile solamente in virtù del fatto che questo circuito è “cartolare”. Risultato “contro natura”, in quanto, una volta raggiunto il livello “zero”, ogni ulteriore possibilità di impiego del contante pare preclusa.
 
Inoltre, la Corte di Cassazione  con la sentenza n. 1908/2007 ha riconosciuto legittima la ricostruzione dell’Agenzia delle Entrate che in sede di verifica in presenza di  finanziamenti  (e restituzioni) avvenuti frequentemente per “cassa”, ha eccepito che questa è una pratica volta a nascondere il classico fenomeno della cassa negativa, il quale, a sua volta ha origine da vendite in nero. Infatti il continuo intervento diretto o indiretto dei soci nella società, mediante i cd. "finanziamenti infruttiferi" e le “restituzioni” di essi, molto spesso, nella realtà, sono finalizzati a coprire andamenti anomali del conto cassa, qualora lo stesso presenti temporanei "saldi negativi" o “saldi positivi” particolarmente elevati, in virtù di introiti o pagamenti "a nero". In sostanza, attraverso l'intervento dei soci si cerca di porre rimedio ad evidenti segnali di non correttezza della contabilità. 


[1] Corte di Cassazione, sent. n. 27585/2008, sent. n. 3580/2009, sent. n. 24509/2009, sent. n. 11988/2011

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